lunedì 30 aprile 2007

Ailefroide: Ein, Zwei, Draye + La Dulfer + La Dalle a Robin


Domenica e lunedì 29-30 aprile 2007



Io, Manu, Paolino l'Alpino e Simo




Sabato, verso le 18,00, partiamo dal Colle della Maddalena (m 1.996) e, passando per Guillestre, dove mangiamo una pizza (sorvoliamo sulla qualità della pizza in Francia...), giungiamo ad Ailefroide (m 1.800), nel cuore del Parc National des Ecrins, in Delfinato.


Stabiliamo il nostro campo in quello che in estate è un unico, enorme campeggio, popolato di climber provenienti da mezzo mondo, e che adesso è praticamente tutto nostro!
Il campeggio è chiuso e in tutta la conca boschiva siamo quattro gatti, forse un altro paio di tende...



Dall'entrata della tenda, ecco la maestosa figura del Pelvoux (m 3.946): in realtà, si vede solo un contrafforte, la vera cima è nascosta ed è molto più in alto...



Dopo colazione, partiamo alla volta delle pareti della Tete de la Draye (m 2.100).
Facciamo due cordate, su due vie diverse, ma che corrono lungo speroni rocciosi praticamente paralleli e piuttosto vicini, sempre a tiro di voce:

Io e Paolino l'Alpino saliamo Ein, Zwei, Draye (6a max 5c ob D 500 m 18L)
Manu e Simo salgono Laissez Bronzer les Cadavres (6a+ max 5c ob TD 500 m 18L)

Il nome della prima via è un gioco di parole.

Il secondo è ben più macabro, ma nello stesso tempo umoristico: si riferisce al fatto che la parete, non essendo molto frequentata e piuttosto articolata, ha nascosto per ben 3 anni (dal 1993 al 1996) il corpo di una persona…e un’altra ne manca all’appello…


La parete con le vie:




Ma eccoci all'attacco della via:



Ed ecco i nostri compari sull'altra via, non distante e con alle spalle l'irresistibile sfondo del Pelvoux:


I nostri primi tiri: questo è il secondo tiro, un tranquillo 4c, dopo un tiro iniziale gradato 5a, ma che ci ha impegnati più del dovuto...
Va sottolineato che, essendo ad inizio stagione, molte prese e tacchette sono sporche ed intasate, soprattutto di aghi di pino, e la fiducia nella tenuta del piede ne risulta inficiata; la cosa riveste una certa importanza, su una via in cui l'aderenza è fondamentale.


Il terzo tiro presenta un tratto di 5c, il muro scuro che si vede sullo sfondo, con un passo molto atletico, risolto da Paolino con qualche imprecazione:




La quarta lunghezza tocca a me, poiché procediamo a comando alternato, come sempre.



Dopo un tratto iniziale in traverso verso destra, affronto una placca liscia (5c), splendida, di granito scuro.




Seguono tre lunghezze più facili (4c, 4c e 3), che percorriamo rapidamente; poi le due vie presentano un tratto di trasferimento e ci riuniamo tutti e quattro.
Ritroviamo l'attacco del proseguio delle vie; noi abbiamo un tiro facile (3b), che decidiamo di salire in free-solo, in libera totale.
Il nono tiro presenta il tratto di 6a, ma Paolino ricorre a tutte le sue doti di aderenza e passa!

Intanto, i nostri compari procedono lungo la via parallela alla nostra:



Sulla decima lunghezza conduco io: il tiro è lunghissimo e piuttosto impegnativo (5c).
Dopo un brevissimo trasferimento, ecco questo muro da superare (5b):



La dodicesima lunghezza vede diminuire la difficoltà (4b): salgo rilassatissimo, anche se le fatiche della scalata dell'Oronaye del giorno precedente si fanno sentire, e scatto foto a Manu che sale la cresta alla mia sinistra, con la conca di Ailefroide sullo sfondo; sembra la copertina della guida di Cambon:




Paulin sale rapidamente L13 (3b) e ci ritroviamo in cima al pilastro; sotto di noi, Manu e Simo sono ancora impegnati in un paio di tiri.



Altro breve trasferimento, giungiamo in una sorta di giardino pensile nascosto, bellissimo, da cui si stacca una paretina verticale (L14, 3b), che salgo rapidamente.




Ci ritroviamo tutti e quattro e decidiamo di interrompere (mancherebbero ancora 4 tiri, da raccordare con un trasferimento in discesa) prima della vetta vera e propria: siamo stanchi, sono già le 16,30 e Simo deve partire. Eccomi con alle spalle il Pelvoux (m 3.946):



Dominiamo dall'alto la conca di Ailefroide:



Cerchiamo la via di fuga dalla via che ci dovrebbe raccordare al sentiero della Tete de la Draye; sulla destra della foto, il Glacier Blanc, da noi percorso durante la salita al Dome de Neige (m 4.015):


Durante la discesa, che richiede circa 1 ora, c'è il tempo per una foto artistica:




Giunti al campo, Simo ha già smontato la tenda di Paolino ed ha già messo l'acqua sul fornellino; loro due si preparano a partire e ci salutano.

Io e Manu, i due irriducibili disperati, rimaniamo.

Ci buttiamo sui materassini per un'oretta di meritato svacco, poi montiamo in macchina, scendiamo al paese di Pelvoux e diamo l'assalto al Ristorante-Creperia Le Glacier Blanc!

Ci spariamo due ottime galettes bretoni al prosciutto e formaggio, poi ordianiamo due tranci di maiale con spezie, miele e patatine: grandioso!

Due belle coche a testa e un caffè; torniamo al campo e crolliamo nel sacco a pelo, stanchissimi.

Il mattino dopo, lunedì, il cielo non è più limpido come i giorni scorsi; per questo, decidiamo di smontare subito il campo e buttare tutto in macchina, per evitare di farlo sotto la pioggia.

Abbiamo di nuovo fame: scendiamo di nuovo in paese alla creperie, ci facciamo due galettes salate e una coca a testa, anche in attesa di capire le intenzioni del meteo...

Sembra tenere: bene, si torna su.

Andiamo alla falesia della Draye, c'è un gruppetto di ragazzi bolognesi, simpatici.

Sul settore sinistro della parete, saliamo La Dulfer (5b), benché la roccia sia un po' umida.

La via è molto bella, ovviamente si sale per buona parte in dulfer, in opposizione:


Pochi metri a destra, sale una via chiodata a fittoni, La Dalle a Robin (6a).


Manu la prova: tribola di brutto, ma infine riesce a salire, commentando che si tratta del 6a più duro che abbia fatto.


Minaccia di nuovo pioggia, ma con la corda posizionata la provo anch'io.

Salgo bestemmiando, in estrema aderenza, nonostante l'umidità, ma quando sono poco oltre la metà ecco che comincia a piovere seriamente... I miei alluci doloranti ormai non sopportano più le scarpette da arrampicata, dopo ben 3 giorni, e ringraziano!

Mi calo e sgommiamo.

Siamo rimasti solo in due, ma abbiamo una quantità di roba impressionante!


Passiamo a Briançon, con sosta d'ordinanza da McDonald's e visita al noto negozio di attrezzatura alpinistica: incredibilmente, acquistiamo pochissimo e partiamo alla volta di casa, attraverso il Monginevro.


sabato 28 aprile 2007

ORONAYE (m 3.100): Canalino Sud



Sabato 28 aprile 2007




Io, Manu, Carlo e Paolino l'Alpino




Sveglia alle 4,30, la macchina è stracarica dalla sera prima...
L'appuntamento è per le 5,00.
Si parte per una fantastica tre-giorni italo-francese.
Mi sono "preso" il ponte del 1° maggio, senza discussioni.

Parcheggiamo poco oltre il Colle della Maddalena (o Col de Larche, come lo chiamano i francesi...), ci prepariamo e partiamo: sono le 8,15 ed il cielo è un po' ingombro di nubi...

La prima parte segue il sentiero, senza neve, fino al torrente, dove la valle piega a destra ed inizia ad essere innevata, ma facendo un po' di zig-zag si riesce a pestare poca neve fino a circa 2.300 m.


Giungiamo al cospetto dell'Oronaye (m 3.100): ci sono ancora nuvole, ma la situazione pare vada migliorando, come da previsioni.



Saliamo per il Canalino Sud, inclinazione sui 30°, lungo quella che è la via normale estiva.
La neve porta piuttosto bene, quando giungiamo sotto al canalino calziamo i ramponi ed estraiamo casco, imbrago e piccozza dai sacchi.



Si comincia a salire e tutto diventa fantastico!



Appena in lontananza ecco svettare Rocca La Meja (m 2.831), la nostra meta dell'uscita precedente:


Saliamo il canalino in meno di un'ora, mentre le nuvole scompaiono:


Salendo lungo la massima pendenza, si prende quota in fretta:



Eccoci quasi in cima al canalino, alla forcella in cui si incontrano il canalino sud e quello nord, che sale dalla Val Maira; siamo sulla spalla ovest dell'Oronaye, alla quota di m 3.050, quasi dove ci eravamo fermati lo scorso anno...



Sempre coi ramponi ai piedi, abbandoniamo gli zaini e scaliamo una rampa inclinata, che ci conduce ad una piccola forcella, esattamente dove si arrestò il nostro precedente tentativo; noto subito che, anche scavando nella neve, non c'è più la sosta da cui ci eravamo calati in corda doppia...



Saliamo una paretina, poi percorriamo una piccola cresta, che conduce ad un'altra forcella: la traversata che segue è molto esposta e potenzialmente pericolosa: rari appigli per le mani ed un fondo nevoso che potrebbe cedere.



Fortunatamente c'è uno spit: tiriamo fuori le corde e decidiamo di fare le cose per bene, in sicurezza.

Mi assicuro al chiodo e faccio sicura a mio fratello, che traversa e si trova sotto la porzione di parete nord che ci separa dalla cima.



E' verticale ed esposta, anche se ben appigliata: sarà II+, ma è tutto intasato di ghiaccio e stiamo salendo coi ramponi ai piedi.

Manu arrampica pochi metri, poi trova una sosta (non splendida...) e si assicura.

Per passare quel tratto, decido di montare una corda fissa: io barcaiolo la corda allo spit, Manu fa lo stesso alla sosta; in questo modo, assicurati con un rinvio all'imbrago alla corda fissa, passiamo io, Carlo e Paolino.



Da lì in avanti, arrampichiamo slegati; io non mi fido dei guanti ed arrampico a mani nude, per sentire e valutare gli appigli (a differenza delle falesie, in questo contesto quasi ogni appiglio potrebbe rimanerci in mano, specie ad inizio stagione, in pieno disgelo) e quando finalmente esco in cresta, ho le mani indurite e doloranti.
Emergiamo sulla cresta sommitale: proprio lì troviamo una bella sosta (2 spit con cordone).
Dietro di me, ecco Carlo salire gli ultimi metri di parete nord:






Giù in basso, la forcella, con gli zaini:




Da qui, non resta che percorrere la facile cresta che conduce in vetta all'Oronaye!

Sono le 13,20. Le foto di rito:

Il libro di vetta dice che anche stavolta siamo i primi salitori stagionali della montagna.

Il panorama spazia dai sottostanti Laghi di Robourent, alle vette della Valle Stura, mentre a Nord ecco la Val Maira: nonostante la foschia, si riconosce il gruppo Castello-Provenzale, sempre sinistro (specie per me... vedi uscita del 20 maggio 2006):





La discesa si compone di una calata a corda doppia dalla sosta in cresta, con una corda gemellare da 48 m: i 24 m disponibili ci portano giusti giusti allo spit cui è fissata la corda fissa che avevamo lasciato e che togliamo, ovviamente.


Nota comica: durante la traversata, Carlo perde un guanto che aveva attaccato all'imbrago... Il guanto precipita lungo la parete Nord, tra l'entusiasmo e le risate del fratello Paolino il Bastardino!!!

Torniamo al punto dove è sparita la sosta: ne facciamo un'altra noi (fettucce su spuntone) oppure scendiamo disarrampicando?


Il nostro braccino corto ci fa propendere per la seconda ipotesi, ovviamente!


No, seriamente: valutiamo la rampa da ridiscendere e concordiamo che, con un minimo di attenzione, non presenta alcun problema.


In breve siamo agli zaini, alla forcella, e ci buttiamo giù per il canalino: la consistenza della neve è ancora accettabile; scendiamo in fretta fino alla base della montagna.


Come al solito, la discesa della valle fino alla macchina non ci passa più...


Quando vi giungiamo, Carlo ci lascia e torna a casa, ma al parcheggio troviamo Simo, che ci aspetta per andare tutti ad Ailefroide, in Delfinato!




Da domani si arrampica al sole!!!