Io e Manu
Sabato mattina partiamo alle 7,00: destinazione S.Christophe d'Oisans, nel cuore del Parc National des Ecrins.
La strada è veramente lunga: risaliamo la Val Susa, sconfiniamo al Monginevro, scendiamo a Briançon, passiamo Serre-Chevalier, La Grave (dando un'occhiata di nuovo alla Meije ed al Rateau) e dopo altri 70 km eccoci a Les Etages (m 1.697), dove parcheggiamo. E' circa mezzogiorno.
Ci carichiamo sulle spalle l'impossibile, come sempre; io porto lo zaino grande in spalla e lo zainetto piccolo sul davanti, modello sherpa...
Il sentiero verso il rifugio è molto bello, la salita impegna 2 ore e mezza.
Risalendo una stretta gola formata da un torrente, arriviamo infine a vedere la nostra meta, l'incredibile sagoma dell'Aiguille Dibona (m 3.131), che chiude il vallone del Soreiller.
Si può intuire il motivo del suo soprannome: la Freccia di Granito...
Angelo Dibona, la grandissima guida ampezzana, vi giunge il 27 giugno 1913 e risolve il grande problema, compiendo la prima salita del Pain de Sucre du Soreiller, che da allora prenderà il nome di Aiguille Dibona. La sua via coincide con la via normale della vetta ed è la via comunemente seguita per scendere dalla cima, raggiunta per altre vie.
La via Dibona comporta una traversata delicata e molto esposta, fino alla breccia sotto i Clochetons Gunneng, poi due tiri di corda di III grado molto molto esposti portano alla vetta.
Poco prima del rifugio, siamo accolti da un gregge di pecore particolarmente socievoli e... voraci:
Finalmente siamo al Réfuge du Soreiller (m 2.719):
E' situato esattamente sotto la grandiosa parete sud dell'Aiguille Dibona: chi è impegnato in parete arrampica sotto lo sguardo attento di un folto pubblico...
L'oceano di granito che ci circonda, la sera:
In lontananza, l'Olan (m 3.564), teatro di imprese del grande Giusto Gervasutti, detto Il Fortissimo:
Domenica mattina sveglia alle 6,20.
Il meteo è splendido, non fa freddo, infatti lo zero termico è a 4.000 m.
Usciamo quasi per primi dal rifugio, verso l'attacco della parete.
La via che faremo è la cosiddetta Classique Face Sud (5b D 550 m 15L), una combinazione di vie composta da:
Madier: L1 - L2
Berthet: L3 - L4
Sept d'un Coup: L5 - L6 - L7
Boell: L8 - L9 - L10
Madier: L11
Boell: L12 - L13 - L14 - L15
Ecco la relazione, tratta dalla nuova guida di Cambon "Oisans Nouveau Oisans Sauvage - Livre Ouest":
Attacchiamo alle 8,00.
Parto io, dopo aver risalito le placche iniziali slegati; il primo tiro (III) si infila nell'enorme diedro-rampa che attraversa la parete sud nella parte bassa.
Manu mi raggiunge e parte per la seconda lunghezza (IV).
I primi tiri che facciamo sono quelli della via Madier (TD 6a+ max); li saliamo in compagnia di due ragazzi spagnoli.
Nel secondo tiro ci infiliamo nel famoso tunnel del diedro della Madier, dove io mi devo togliere lo zaino per riuscire a passare; segue una placca tutt'altro che facile, chiodata lunga:
Di fianco a noi corre la via Visite Obligatoire (TD+ 6a+), percorsa da due ragazzi francesi di cui faremo la conoscenza:
Il terzo tiro (V) vede Manu in testa, sale qualche metro lungo il diedro, poi traversa a destra, lungo uno spigolo da salire in dulfer piuttosto faticosa, sempre poco protetta. La foto è presa dalla sosta: i ragazzi in alto a destra sono due fenomeni francesi (specialmente uno), che stanno salendo Voie Physique et Sans Issue (ED 7a max!!!):
La quarta lunghezza (IV) prosegue lungo la placca lavorata, in verticale; Manu non rinvia praticamente mai, io salendo da secondo mi imbatto in un paio di chiodi che lui non aveva visto; in effetti è sempre arduo trovarli... anche perchè lo spit si pianta in piena placca, visibile, mentre il chiodo va nelle fessure, spesso dietro a lame o scaglie.
Dal terrazzino di sosta, prendiamo la via di Cambon 7 d'un Coup, che sale sul filo della cresta sud-est. Questa via è spittata.
Vado avanti io sulla quinta lunghezza (5b): S-P-L-E-N-D-I-D-A!!!
La roccia migliore che abbia mai trovato e toccato; veramente entusiasmante.
Il tiro parte con un passo boulder su buone prese, atletico come del resto buona parte della via ed è chiodato benissimo.
Manu mi raggiunge e parte per il sesto tiro (V). Qui la chiodatura è quasi nulla ed il grado non è mai regalato, sull'intera via...
Rinviando su qualche spuntone di granito, arriva in sosta, dopo una galoppata di incredibile e totale esposizione sul vuoto:
Siamo all'estrema destra (Est) della Vire Boell e sopra di me si innalza la Fissure Madier, tiro-chiave dell'omonima via (originariamente 5c, dopo il distacco di un masso incastrato valutata 6a+); la via Boell sale invece all'estrema sinistra, per cui Manu vi si porta con l'ottavo tiro, prima orizzontale, poi disarrampicando sul III grado: io da secondo bestemmio, in quanto non sono assicurato dall'alto e rischio un pendolo grandioso...
Sul versante sinistro della Cengia Boell, dalla stessa sosta proseguono Visite Obligatoire e la via Boell: Manu ha dovuto aspettare mezz'ora prima di potersi assicurare e recuperarmi, a causa dell'affollamento.
Quando siamo lì, discutiamo un po', perchè lui vorrebbe salire il tiro a destra, quello di Visite, che effettivamente è fantastico (foto sotto), ma cominciamo ad essere stanchi e la via è ancora lunga prima della vetta: meglio non disperdere tempo ed energie...
La nona lunghezza (IV-) rischia di incasinarci: Manu risale un infinito diedro inclinato, trovando tra l'altro un solo chiodo in 40 m, prima di sostare su un singolo chiodo, a pochi metri dalla fine delle corde (lunghe 60 m); quando arrivo in sosta, cerchiamo di ritrovarci sulla relazione, che indica però un traverso a destra di quarto grado dove a noi par di vedere placconate verticali e lisce...
Fortunatamente ci aiutano i nostri due amici francesi, impegnati sulla vicina Visite Obligatoire, che hanno salito la nostra via il giorno precedente: ci indicano dove dobbiamo traversare.
E' un tiro delicato (IV), il decimo, un lungo traverso su placca sprotetto per i primi 20 m, molto esposto, seguito da un muro da scalare cercandone i punti deboli: verticale, ma manigliato.
Dalla sosta, su due chiodi, guardo in basso, verso il rifugio, già lontanissimo:
L'undicesimo tiro sale le famose Cannelures Stofer: ormai andiamo di fretta, non c'è tempo per molte fotografie e qui non ne faccio.
Essendo tardi, anche i due amici francesi decidono di abbandonare Visite Obligatoire e di salire con noi.
Saliamo le Cannelures per la via Madier (V), trovando pochi chiodi e superando un tetto atletico ed esposto a fine lunghezza.
Le Cannelures sono sotto di noi:
La L12 (V-) sale una roccia sempre splendida, un granito perfetto e purissimo, portandosi a destra e poi risalendo lo spigolo sud-est (IV-), fino ad una comoda sosta, un pulpito incredibile sul vuoto...
Ormai siamo verso la sommità della montagna, che diventa sempre più aguzza ed affilata.
Fortunatamente il meteo rimane perfetto e stabile, senza nemmeno un filo di vento, benché sia ormai pomeriggio inoltrato.
Il tredicesimo tiro (III) è facile, ma incredibilmente esposto, corre infatti lungo un diedro abbattuto, con alla destra un vuoto indescrivibile:
Giungiamo alla sosta, che in realtà è un unico chiodo.
In foto, si vede una piccola cengia tre metri sotto i miei piedi: ora lì giace un mio cordino, che Manu si lascia sfuggire dalla mano... un segno del nostro passaggio...
La quattordicesima lunghezza (IV) parte con un passo da brivido: ci si butta completamente in fuori, sospesi sul baratro afferrando buone prese con le mani, poi si sale in leggera destra, trovando appigli sempre migliori, fino ad una stretta cengia, sempre sul filo destro della sommità della Freccia di Granito.
Il quindicesimo ed ultimo tiro (III) ci vede salire facilmente in vetta, stremati.
Sono le 17,00: siamo in parete da 9 ore, 9 ore di sforzi atletici e soprattutto psicologici, a causa della concentrazione e della tensione necessarie ed inevitabili.
E' incredibile la sensazione di calcare l'esile vetta della montagna, la più aguzza senza dubbio che abbia mai visto, dopo tutte queste ore di sforzi e anche di ansia.
Subito vogliamo lo sguardo al versante nord, quello da cui dovremo scendere, per vedere cosa ci aspetta:
OK, individuiamo subito la prima sosta di calata, quindi ci dedichiamo alle canoniche foto di vetta:
Non c'è nemmeno lo spazio per la croce o il libro di vetta...
Autoscatto della Cordata Varicocele:
Via, non indugiamo e cominciamo la discesa, che richiede ancora notevole concentrazione; scendo disarrampicando fino ad un terrazzino aereo, dove trovo l'ottima e solida sosta di calata:
Da lì, scatto una grandiosa foto di vetta a Manu:
In realtà la discesa a corda doppia fila liscia, andiamo spediti alla seconda sosta:
Anche la seconda calata non ci pone problemi, scendendo lungo un diedro che limita molto il rischio di una drammatica pendolata (che peraltro so essere successa in passato, con conseguenze abbastanza drammatiche).
Giunti all'intaglio, raccogliamo le corde e superiamo l'ultimo ostacolo: una cinquantina di metri di disarrampicata lungo una cengia che collega la forcella alla "terra ferma", alla mia sinistra nella foto sotto:
Una parte dell'impressionante scivolo verticale che costituisce la parete ovest della montagna: si vedono la vetta e la cresta lungo cui ci si cala in doppia; è abbastanza evidente come sia meglio non precipitare alla propria destra, scendendo...
Dopo l'indicibile sollievo dato dal liberarsi delle scarpette da arrampicata, salutiamo inostri amici francesi e cominciamo a scendere verso il rifugio.
Da qui si vede bene la cresta nord, lungo cui corre la via Dibona e lungo cui siamo scesi:
In lontananza, i scintillanti ghiacciai dell'Olan:
Alle 19,00 siamo al rifugio, dove paghiamo e ci prepariamo: purtroppo, dobbiamo caricarci in spalla un altro zaino, oltre a quello da arrampicata e le corde...
Percorriamo il sentiero che ci riporta a valle sul far della sera, con un clima magnifico ed una piacevole brezza.
Inutile sottolineare come ad ogni tornante lo sguardo sia rapito dalla forma incredibile della cima dove eravamo due ore prima:
Un ultimo sguardo verso uno degli spettacoli più grandiosi che mi sia capitato di vedere:
Alle 21,10 siamo alla macchina, siamo senza pranzo e senza cena.
Ci aspettano 4 ore di macchina, Manu ovviamente dorme...
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